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LOCAZIONE O VENDITA DI BENI COMUNI: Un modo per risparmiare sulle spese condominiali

La crisi economica morde ancora, i costi per la gestione di beni e servizi comuni sono alti e spesso si cercano soluzioni che possano alleggerire il peso contributivo che grava sui condomini. Quale sistema migliore per mettere a frutto beni comuni che siano possibili fonti di reddito lasciando, però, impregiudicati i diritti dei sin­goli?

La vendita o la locazione di parti comuni sono la strada comunemente intra­presa “per fare cassa”, ma è necessario muoversi con cautela e, soprattutto, rispet­tare i limiti imposti dal codice civile. Entrambe le decisioni sono di competenza dell’assemblea, che deciderà con maggioranze differenti.

Vendita parti comuni condominio

Nella vendita si assume una decisione di carattere praticamente quasi irrever­sibile (il bene, infatti, con altro atto successivo potrebbe sempre tornare ad essere condominiale), in quanto il bene compravenduto uscirà definitivamente dal pa­trimonio comune ed andrà ad aumentare quello di uno dei condomini, se sarà questi ad aggiudicarsi l’oggetto dei contratto.

Ma lo stesso bene potrà essere ac­quistato anche da un soggetto terzo ed in tal caso l’acquirente diventerà, a tutti gli effetti, un nuovo condomino con tutti i diritti ed oneri che conseguono alla sua posizione e che sono commisurati al valore millesimale della parte oggetto di com­pravendita,.

In entrambi i casi, comunque, si renderà necessario modificare le tabelle mil­lesimali, poiché la quota, eventualmente attribuita ab origine al bene comune, pas­serà al nuovo proprietario. Per tale operazione si ritiene corretto che le relative spese, da ripartire secondo i nuovi millesimi, siano sostenute dall’intera comunità.

Stante la natura dei contratto è importante chiarire che non possono formare oggetto di compravendita i beni che sono indissolubilmente legati ai piani o por­zioni di piano e, come tali, essenziali per l’esistenza dello stabile (come ad esem­pio: scale, muri, pilastri, travi portanti, tetti, fondazioni ed altro), mentre quelle parti comuni che, per loro natura, sono connesse all’unità condominiale solo in via funzionale (come locali comuni, quali l’appartamento dell’ex portiere, oppure lo spazio occupato dalla caldaia dell’impianto centralizzato di riscaldamento dismesso o dai cassoni di distribuzione dell’acqua e così via) potranno essere se­parate dal diritto di condominio.

Condominio vendita parti comuni

Detto questo è principio consolidato che la compravendita di un bene comune, suscettibile di godimento separato acquista validità solo se effettuata da tutti i con­domini, poiché sottrarre un bene alla sua destinazione comune, in conseguenza della cessione dello stesso, comporta una rinuncia che richiede il consenso una­nime dei condomini.

vendita parti comuni condominio

Locazione o vendita del bene comune

Locazione parti comuni condominio: trarre vantaggio senza spogliarsi del bene comune

Più complesso è, invece, concedere in locazione un bene comune, tanto se il conduttore sia un condomino, quanto se un terzo rispetto all’Ente.

In via generale la Corte di Cassazione ha affermato, con plurime sentenze, che la locazione di un bene comune configura un uso indiretto della res communis, ammissibile allorché non sia possibile un uso diretto della stessa da parte di tutti i partecipanti alla comunione, proporzionalmente alla quota di ciascuno, promi­scuamente ovvero con il frazionamento degli spazi ancora tramite uso turnario.

Il caso tipico è rappresentato dalla cessione dell’appartamento del portiere, che viene messo sul mercato locatizio allorché il servizio sia stato sospeso. La deci­sione è demandata all’assemblea del condominio che si determinerà a maggio­ranza, essendo evidente che, nella specie, mancando i presupposti per l’uso diretto del bene – come inteso dai giudici di legittimità – la locazione, che rap­presenta atto di ordinaria amministrazione, è il mezzo più consono per superare anche l’indivisibilità del godimento. La natura dell’atto, quindi, richiede solo che la decisione sia assunta, in seconda convocazione, con la doppia maggioranza pre­vista dall’art. 1136, comma 3, c.c. (maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio). […]

Il contratto di locazione, ovviamente, sarà sottoscritto dall’amministratore e rientrerà pienamente nell’ambito di applicazione della legge n. 431/98, se a carat­tere abitativo, ovvero della legge n. 392/1978 se l’immobile viene destinato ad uso diverso.[…]

Naturalmente la problematica si estende anche alla locazione di altri beni che, dismessi, abbiano perduto la loro identità e funzione originaria, come ad esempio e come già accennato, al locale della centrale termica, quando l’impianto centra­lizzato sia stato eliminato per essere sostituito da impianti unifamiliari; oppure nel caso in cui il locale cassoni sia stato privato di tale funzionalità per il passaggio alla fornitura di acqua diretta e così via.

Affitto lastrico solare e impianti di telefonia mobile

Se la locazione dell’ex alloggio del portiere può costituire già una buona fonte di guadagno per i condomini, ancora più appetibili sono gli introiti che possono pervenire dall’affitto del lastrico solare comune di parte di esso per la colloca­zione di ripetitori di telefonia mobile.

Siamo, qui, in presenza di una vera e propria operazione commerciale nella quale sono parimenti interessati il gestore dell’impianto di telefonia mobile, che cerca i migliori spazi per la ricezione, da un lato, ed il condominio, che dalla ces­sione di tali spazi ricaverà un profitto più che ragguardevole, dall’altro.

Ed ecco che sul culmine dei nostri edifici svettano, in nome della tecnologia e del diritto di comunicazione, ma obiettivamente a tutto discapito dell’armonia e della panoramica cittadina, simil-alberi in acciaio che per le loro dimensioni in al­tezza catturano, indubbiamente, un’immediata attenzione. Certamente non posi­tiva, ma questo è il prezzo che il progresso impone.

La problematica più evidente è legata all’individuazione della maggioranza ne­cessaria per la delibera autorizzativa.

Nella specie, va detto, che stiamo parlando di un contratto ad uso non abitativo, la cui durata è prevista dall’art. 27 della legge n. 392/1978 in sei anni, rinnovabili di altri sei alla prima scadenza, salvo il diritto di recesso legale o convenzionale e l’applicabilità delle ulteriori disposizioni. Nulla vieta, però, che il contratto possa essere sottoscritto per un periodo pari o superiore a nove anni.

Le maggioranze richieste per le due situazioni sono differenti.

Sicuramente nell’ipotesi in cui il periodo di locazione sia ultranovennale oc­corre l’unanimità del consensi.

Alienazione parti comuni condominio

Infatti ai sensi dell’art. 1108 c.c., applicabile anche al condominio per il rinvio operato dall’art. 1139 c.c., “è necessario il consenso di tutti i partecipanti per gli atti di alienazione o di costituzione di diritti reali sul fondo comune e per le loca­zioni di durata superiore a nove anni”.

Nel caso in cui, invece, la locazione rientri nell’ordinario ambito normativo (che si può identificare in un contratto ad uso commerciale con durata di sei anni più sei) si è molto discusso se la delibera concernente l’autorizzazione ad installare sul lastrico comune un’antenna di telefonia mobile debba essere considerata un atto di amministrazione straordinaria; un’innovazione ai sensi dell’art. 1120, co.1, c.c.; un’innovazione vietata ai sensi dell’art. 1120, ultimo comma, c.c. o addirittura se si possa configurare l’applicabilità dell’art. 1117 ter, introdotto ex novo dalla legge n. 220/2012. […]

Alcune decisioni di merito (Trib. Genova 12 aprile 2006, n. 1385 e Trib. Milano 23 ottobre 2002, n. 12663), uniformandosi ad un ad un orientamento di ca­rattere generale espresso dai giudici di legittimità, hanno ritenuto corretto pro­pendere per la necessità di un consenso condiviso da tutti i condomini, con conseguente dichiarazione di nullità della delibera presa non in conformità ad esso.

La ragione di tale indirizzo si fonderebbe su differenti considerazioni: le di­mensioni abnormi dell’impianto di telefonia e delle sue componenti; l’impatto dello stesso sul decoro architettonico dell’edificio e delle porzioni immobiliari esclusive; l’inservibilità di tutto o parte del lastrico solare che, asservito non tem­poraneamente (va considerato che la tendenza delle società proprietarie degli im­pianti è quella di stipulare contratti a lungo termine) ad un uso diverso rispetto a quello originario, impedirebbe ai singoli condomini l’uso diretto del bene e, da ultimo la costituzione di una servitù di passaggio, quanto ai cavi di collegamento, sulle parti comuni. A ciò si aggiungono ulteriori problematiche, da verificare in sede di consulenza tecnica, quali la sussistenza di immissioni rumorose che su­perino la normale tollerabilità (art. 844 c.c.) nonché la presenza di inquinamento elettromagnetico.

Considerazioni, tutto sommato, che sono condivisibili ma anche meritevoli di un approfondimento e che, in ogni caso, non possono rappresentare un generico parametro di riferimento e di valutazione svincolato dalle singole situazioni con­crete.

Impianto di telefonia condominiale

È vero che un impianto di telefonia mobile non è rappresentato dal solo “tra­liccio” ma si estende a tutte le relative componenti (antenne, parabole, ponti radio, apparecchiature radio, ecc.) e strutture che sono necessarie per il funzio­namento dell’impianto stesso (pozzetti di terra, quadri di servizio, cavi di collega­mento, cavi di alimentazione, ecc.). Il tutto, quindi, va a costituire un impianto di imponente dimensione e che rientra nell’accezione, oramai più consolidata, del termine di innovazione al bene comune.

Altrettanto vero il fatto che la nuova entità si può tradurre in elemento di di­sturbo del decoro architettonico dell’edificio, che può assumere caratteristiche importanti anche con riferimento al valore delle proprietà esclusive […].

Tali osservazioni, nel loro complesso, rendono evidente che non è possibile dare una risposta univoca che possa adattarsi a tutti i casi. Certamente nella con­cordanza di tutte le variabili evidenziate si può parlare di innovazione vietata e come tale superabile solo con il consenso di tutti i condomini.

Detto questo, va rilevato che l’impatto dell’impianto in questione deve essere valutato anche in relazione all’estensione della zona di lastrico solare occupata dallo stesso.

Infatti, se l’impianto di telefonia occupa solo una piccola parte di un lastrico di ampie dimensioni, l’innovazione non dovrebbe impedire il godimento da parte dei condomini per la parte residua e, quindi può essere approvata con la maggioranza di cui all’art. 1136, co. 5, c.c., mentre se la copertura dell’edificio è di estensione ridotta, talché può contenere solo le strutture concernenti la cen­trale di ricezione, l’installazione di questa precluderà il godimento del bene in assoluto.

Ecco, quindi, un’ulteriore motivo per scartare un discorso di carattere generale.

Locazione lastrico solare

Da ultimo si evidenzia che secondo alcuni interpreti sarebbe applicabile alla fattispecie l’art. 1117 ter c.c., entrato in vigore con la legge n. 220/2012, per effetto del quale sarebbe necessario, prima di cedere in locazione il lastrico solare, pro­cedere alla sua modifica della destinazione d’uso.

Secondo la norma richiamata, infatti, quando si tratti di soddisfare esigenze di carattere condominiale l’assem­blea, con un numero di voti che rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio ed i quattro quinti del valore dell’edificio, può modificare la destina­zione d’uso delle parti comuni. […]

(rielaborato da Dossier Condomino, articolo di Adriana Nicoletti)

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